TRA STORIA E LEGGENDA
Gnomi
dispettosi, creature dell’acqua, streghe: nei boschi che abbracciano le
piccole, bellissime borgate in pietra continuano a vivere leggende e
tradizioni vecchie di secoli. Quando poi le creature del fantastico
entrano nelle case della gente, ne succedono delle belle…
Complice
l’isolamento dalla pianura - la strada che collega a Maniago venne
inaugurata solo nel 1888 - le leggende locali si sono mantenute vive nella
tradizione orale, e sono giunte fino ai nostri giorni attraverso i più
anziani che ancora le narrano. I boschi di Frisanco, secondo il mito, sono
popolati da esseri straordinari come le “anguani o linguani”: mitiche
creature d’acqua, per tre giorni belle donne e per tre giorni serpi o
salamandre, secondo la versione tradizionale, o donne dalle zampe di capra
secondo quella meno conosciuta. Le anguani si narra uscissero da una
grotta ancora ben visibile sull’antica strada che portava in Val Colvera
da Maniago, ora affiancata dalla moderna e comoda galleria, per lavare i
loro panni bianchi rossi e turchini, che stendevano poi ad asciugare. Una
donna di passaggio attratta dalla bellezza dei colori della stoffa si
impadronì incautamente del bucato fatato, nascondendolo nella sua gerla:
per avere poi la brutta sorpresa al ritorno a casa, di veder tramutato il
suo bottino in un ammasso di pietre oppure - sempre a seconda della
versione - in dozzine di rospi. Ma nei boschi vivono anche enormi orchi e
soprattutto folletti che hanno la proprietà di trasformarsi in gomitoli
di lana, per poter essere poi raccolti dagli ingenui popolani e riuscire
così ad entrare nelle case per commettere ogni sorta di dispetto alle
massaie. Nulla a che vedere con le ben più atroci malefatte delle
streghe, la cui presenza si colloca a Frisanco tra storia e leggenda:
esistono infatti le deposizioni verbalizzate niente meno che dal
cancelliere dell’inquisitore generale delle diocesi di Aquileia e
Concordia- che riportano con estrema perizia le descrizioni dei sabba che
si tenevano ogni giovedì, nel Plan di Malgustà sul monte Raut. Qui le
streghe rendevano conto al demonio delle loro malefatte: dopo aver ballato
calpestando una croce, esibivano anche i corpi dei neonati che esse stesse
dicevano di aver fatto morire per consunzione, (la mortalità infantile
era molto elevata per malnutrizione all’epoca) e dopo aver tolto loro le
costole per sostituirle con rametti di sambuco, ci giocavano addirittura a
palla, per concludere il tutto con un rito cannibalesco. Il piccolo
testimone dell’evento è il piccolo inorridito Mattia di Bernardone,
trasportato nottetempo su un caprone volante al luogo deputato con la
nonna: verrà perciò sottoposto a un lungo processo dal tribunale della
Santa Inquisizione (dal 1648 al 1650), che si concluderà con la sua piena
riabilitazione nella società civile
Dagli insediamenti preistorici al ventunesimo secolo, la Val Colvera
non ha smesso di esercitare ininterrottamente un suo fascino peculiare.
Testimone del percorso storico della valle, è senza dubbio la ricchezza
del patrimonio architettonico, in perfetto connubio con l'ambiente
naturale. Preservati nei secoli con una precisa impronta di impianto
cinquentesco, gli straordinari esempi architettonici dei borghi
valcolverini raccontano di un passato di vita dura al limite
dell'indigenza, sconfitta dalla tenacia dei suoi abitanti. Questo piccolo
angolo di paradiso terreno proprio in questi ultimi decenni vive un
proprio, meritato riscatto, con il rientro degli emigranti e dei loro
figli e nipoti, ma anche con le diverse giovani famiglie - oltre ad
artisti e giornalisti - che dalla vicina pianura hanno optato per venire
ad abitare nella sua quiete...
Tranquilla e immersa nel verde, la valle è stata scelta come dimora
fin dai tempi della preistoria: tracce dei primi insediamenti umani sono
di fatto state trovate nelle grotte che costeggiano il fiume Colvera. E'
sicuro che ai piedi del monte Raut che domina l'intera area che oggi forma
il territorio del comune, passasse una strada romana che partiva dalla
colonia militare di Julia Concordia per inoltrarsi nelle Alpi. Dobbiamo
però necessariamente arrivare all'epoca tardo romana ed affidarci ai
toponimi, il cui studio ci viene ancora una volta in soccorso se vogliamo
tracciare un profilo storico certo. Il nome del capoluogo, Frisanco,
deriva da un nome proprio di persona di origine germanica, Freidank,
citato in un documento notarile del 1293. Poffabro ha invece un'origine
più trasparente: la "decimam de Pratum Fabri", il prato del
fabbro, è testimionianza dell'esistenza di un'antichissima bottega
artigiana del ferro affine a quelle della vicina Maniago, la "città
dei coltelli" all'epoca governata dal nobile Galvano. Questi lasciò
al figlio Nichilo in eredità proprio una porzione di terreno che
comprendeva l'abitato di Poffabro, citato nel documento notarile nel 1357.
(E' bene ricordare, comunque, che le parrocchie di entrambe i paesi erano
già catalogate nei beni soggetti al vescovo di Concordia nel secolo XI).
Curiosa è la divisione che ha caratterizzato per secoli la val Colvera:
mentre Poffabro e il "comunello di Casasola" appartenevano al
feudo maniaghese, Frisanco, con la vicina Cavasso, erano di proprietà dei
conti di Polcenigo. Già dal tardo Medioevo e nei primi decenni dell'Età
Moderna, borghi e frazioni iniziarono ad assumere la fisionomia attuale,
con le abitazioni dipanate in lunghe schiere ma più spesso in corti
chiuse, cui si accede attraverso un arco. Il patrimonio architettonico
valcolverino, le ormai famose case in pietra e legno con ballatoi a vista,
originale e perfettamente conservato, coniuga moderni criteri di
vivibilità e grande rispetto per la tradizione: prevalgono le splendide
abitazioni di arenaria o calcare a tre, quattro piani, con ballatoi in
legno caratterizzati dalle protezioni verticali -diversamente dai "dalts"
della Val Cellina, a lunghe strisce orizzontali-, una vera attrattiva che
non può sfuggire neanche al turista più distratto. La pianta di questi
veri "gioielli" segue generalmente uno schema comune: al
pianterreno cucina e dispensa, al primo piano le camere, al piano più
alto fienile e granaio. Non mancano poi alcune pregevoli abitazioni a
loggia, e un palazzo del XVII secolo, palazzo Pognici, nel cuore di
Frisanco, un tempo di proprietà del notabile Teofoli. I magnifici esempi
architettonici, simbiosi perfetta tra Natura e Uomo, rispondono anche ad
esigenze di carattere pratico: costruire le case una ridosso all'altra
oltre a fornire un'effettiva protezione, presenta anche dei non
trascurabili vantaggi economici. Gli abitanti sono sempre memori degli
stenti del passato, quando tra il Sei e il Settecento dovettero presentare
numerose suppliche al governo della Serenissima per limitare lo scempio
dei propri boschi, smembrati per fornire legname alla città di Venezia:
descivendosi non a torto come un "commun poverissimo".
All'inizio del '700 il solo Poffabro (con il suo comunello di Casasola)
contava "anime mille"e la tendenza era di crescita costante,
fino alla dolorosa, lunga parentesi dell'emigrazione in Europa e nelle
Americhe, favorita anche dall'apertura della strada del "Bus di
Colvera", nel 1888, che apriva la strada alla pianura- poi sostituita
nel 1982 da due comode gallerie. Negli ultimi anni, la tendenza si è
finalmente invertita e sempre più emigranti di seconda (ma anche di
quarta e quinta) generazione sono tornati ad abitare in Val Colvera,
unendosi di fatto alle tante, giovani famiglie che dalla vicina area del
Maniaghese hanno optato per eleggere a domicilio proprio la quieta,
verdissima valle che col suo serenità pare invogliare ad affrontare i
ritmi del Duemila con una utile dose di pace interiore. Nessuna
meraviglia, del resto: come sfuggire al fascino profondo esercitato da
questi meravigliosi, piccoli borghi, decantati anche da artisti famosi
come il pittore Armando Pizzinato, che li definisce "luoghi
magici" e ispiratori?
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